Convegno diocesano: “Le famiglie protagoniste della iniziazione cristiana”

La società in cui viviamo è cambiata ed è necessario sperimentare un nuovo modo di trasmettere la fede. Se un tempo vivevamo in una realtà sociologicamente cristiana, con la fede che si riceveva in famiglia, a scuola e nella società, ora viviamo un cambiamento d’epoca come lo ha definito papa Francesco. La nostra è diventata una terra di missione ed è necessaria una nuova evangelizzazione. Come coinvolgere in questo processo le famiglie? A questa domanda hanno risposto Fabrizio Carletti, fondatore del “Centro studi missione Emmaus”, e don Francesco Vanotti, direttore dell’Ufficio per la Catechesi della diocesi di Como e delegato regionale dell’Ufficio catechistico nazionale, intervenuti sabato 13 settembre al convegno diocesano “Le famiglie protagoniste della iniziazione cristiana”. Nella Chiesa Santa Maria di Loreto a Tavernelle i due relatori hanno sottolineato che il coinvolgimento e il protagonismo delle famiglie restano l’esperienza privilegiata attraverso la quale vivere l’iniziazione cristiana e hanno indicato alcuni consigli e condiviso esperienze già avviate in altre diocesi.

«La Lumen gentium afferma che i genitori devono essere i primi catechisti dei loro figli, i primi maestri di fede – ha detto Fabrizio Carletti – ma ciò purtroppo non corrisponde più alla realtà. Tantissime famiglie oggi non hanno familiarità con la fede». Dunque cosa fare? «Innanzitutto le famiglie devono vivere un’esperienza di comunità viva, entrare dentro relazioni significative, – ha spiegato – non dentro un modello burocratico scolastico. È importante conoscersi, vivere esperienze di prossimità, relazioni profonde. Bisogna partire da dove la famiglia si trova in quel momento, accoglierla e ascoltarla, non idealizzarla. Non si può partire da dove noi vorremmo che la famiglia fosse, ma da dove è realmente, da qui si può iniziare a fare un cammino insieme. Non bisogna avere un atteggiamento giudicante, è necessario imparare l’arte del dialogo e dell’ascolto. La famiglia va coinvolta in modo significativo non spiegandogli delle cose, ma aiutandola a vivere un incontro reale e diretto con Cristo. Deve fare esperienza di Cristo, non sentirne parlare».

Don Francesco Vanotti ha quindi spiegato che «bisogna entrare nella mentalità della sperimentazione, iniziare qualcosa di nuovo. Prevedere alcune esperienze pilota che dovranno essere accompagnate, valutate, verificate, per poi riconsegnare i frutti all’intera diocesi. Il cambiamento richiede gradualità». Mostrando un video con alcune significative sperimentazioni avviate nella diocesi di Como, don Francesco ha parlato dell’esperienza dei piccoli gruppi: «Una sfida importante nell’iniziazione cristiana è costituita dalla differenziazione tra il processo iniziatico rispetto al paradigma scolastico. Il piccolo gruppo permette, diversamente dalla classe, di vivere relazioni profonde, di porre maggiore attenzione alle persone secondo uno stile di semplicità, accoglienza, gioia e bellezza delle relazioni umane. Proprio con questo stile è nato il Vangelo: da persona a persona. Naturalmente questo richiede anche di cambiare l’identità e la figura di catechista che abbiamo sempre avuto: non più un maestro che deve insegnare, ma un facilitatore, un mediatore, un tessitore di relazioni e accompagnatore di un’esperienza di fede che vede nella famiglia la vera protagonista».

Don Francesco ha spiegato che coinvolgere le famiglie significa creare dei piccoli gruppi con non più di 10-12 persone. In questo modo «è più facile stringere delle relazioni, conoscersi. Il piccolo gruppo permette la comunicazione profonda tra tutte le persone, favorisce rapporti diretti, personali, faccia a faccia, di aiuto reciproco. Un piccolo gruppo può anche trovarsi al di fuori delle stanze istituzionali della catechesi. Può essere infatti ospitato in una casa o in un altro luogo adeguatamente curato, che comunichi un senso di bellezza e raccoglimento. Il gruppo deve essere percepito come una comunità, e non una classe. Nella classe si partecipa a una lezione basata su un principio di trasmissione di saperi e competenze, la piccola comunità (intesa come gruppo) è invece luogo di condivisione e scambio su domande di senso profonde. Bisogna quindi abbandonare il modello catechistico tradizionale preoccupato di comunicare i contenuti della fede soprattutto attraverso le parole, il linguaggio verbale. Bisogna veicolare questi contenuti attraverso il linguaggio delle esperienze, il linguaggio narrativo-kerigmatico. L’annuncio non deve essere un’informazione astratta, ma annuncio ciò che Dio ha fatto nella mia vita, deve esserci sempre una integrazione tra fede e vita. Bisogna partire dalle domande delle persone, dai loro vissuti, e fare in modo che il linguaggio sia semplice, comprensibile a tutti».

I partecipanti si sono poi divisi in tavoli di lavoro sinodali e hanno condiviso ciò che li ha maggiormente colpiti, le attenzioni da avere per evitare di fare passi falsi, e hanno indicato alcune azioni da intraprendere. Al termine della mattina si sono poi riuniti nella chiesa per restituire quanto emerso dai tavoli. I facilitatori hanno sottolineato la necessità di ripensare luoghi e modalità e di coinvolgere i consigli pastorali nei nuovi progetti di iniziazione cristiana. Hanno parlato di comunità accoglienti, che vivano la fraternità e organizzino occasioni di convivialità per conoscersi meglio. Fondamentali anche il linguaggio semplice e la condivisione del cammino con le parrocchie vicine. «Occorre ricominciare con una prima evangelizzazione – ha detto don Sauro Barchiesi, direttore dell’Ufficio catechistico diocesano – cioè essere capaci di non andare subito con le proprie idee verso le famiglie, ma fare accoglienza e un primo ascolto per creare i presupposti per un cammino insieme. La comunità parrocchiale ha bisogno di una conversione profonda, non deve essere frammentata ma unita».

Durante la mattinata Mons. Angelo Spina ha ripercorso il cammino che la diocesi ha intrapreso negli ultimi anni. A seguito del nuovo Direttorio per la Catechesi (DpC), pubblicato nel 2020 dal Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione, la diocesi si è impegnata a coglierne le novità e ad aprire un confronto sulla prassi pastorale nella nostra Chiesa. La diocesi ha così attivato un ascolto a tutti i livelli coinvolgendo catechisti, genitori, presbiteri, comunità e ragazzi e ha poi elaborato un documento che è stato consegnato alla Chiesa locale l’11 maggio, dal titolo “Il cammino della fede, chiamati dal Signore Gesù per seguirlo. – Scelte pastorali per l’annuncio e la catechesi – Itinerari per l’Iniziazione Cristiana”. Lo scorso anno il convegno diocesano è stato incentrato sulla conversione della catechesi e 320 catechisti hanno partecipato a un cammino di formazione per approfondire come trasmettere la fede e accompagnare i bambini, i giovani e gli adulti.

«Lo scorso anno abbiamo lanciato le basi per il rinnovamento della catechesi – ha detto l’Arcivescovo – e quest’anno proseguiamo il cammino. Il 5 ottobre partirà la scuola diocesana di teologia e il 12 ottobre inizierà un cammino di formazione in stile laboratoriale per i catechisti con don Francesco Vanotti. Quest’anno inoltre un piccolo gruppo di catechisti si formerà per aiutare le parrocchie a fare questo cammino e a verificarlo». L’Arcivescovo ha anche ricordato le parole dette da Papa Leone ai Vescovi italiani lo scorso 17 giugno: «È necessario uno slancio rinnovato nell’annuncio e nella trasmissione della fede. Si tratta di porre Gesù Cristo al centro e, sulla strada indicata da Evangelii gaudium, aiutare le persone a vivere una relazione personale con Lui, per scoprire la gioia del Vangelo. In un tempo di grande frammentarietà è necessario tornare alle fondamenta della nostra fede, al kerygma. Questo è il primo grande impegno che motiva tutti gli altri: portare Cristo “nelle vene” dell’umanità, rinnovando e condividendo la missione apostolica: «Ciò che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi» (1Gv 1,3). E si tratta di discernere i modi in cui far giungere a tutti la Buona Notizia, con azioni pastorali capaci di intercettare chi è più lontano e con strumenti idonei al rinnovamento della catechesi e dei linguaggi dell’annuncio».

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